domenica 30 settembre 2018

Brunello. Pensare per segni, conoscere la realtà

"Però", dissi,  "quando voi avete letto le tracce sulla neve e sui rami non conoscevate ancora Brunello. In un certo modo quelle tracce ci parlano di tutti i cavalli o almeno di tutti i cavalli di quella specie. Non dobbiamo dunque dire che il libro della natura ci parla solo per essenze, come insegnano molti insigni teologi?:
"Non del tutto, caro Adso." mi rispose il maestro. "Certo, quel tipo di impronte mi esprimeva, se vuoi, il cavallo come verbum mentis e me l'avrebbe espresso ovunque l'avessi trovato. Ma l'impronta in quel luogo e in quell'ora del giorno mi diceva che almeno uno tra tutti i cavalli possibili era passato di lì. Così che io mi trovavo a mezza strada tra l'apprendimento del concetto di cavallo e la conoscenza di un cavallo individuale. E in ogni caso quel che io conoscevo del cavallo universale mi era dato dalla traccia, che era singolare.
Posso dire che in quel momento io ero prigioniero tra la singolarità della traccia e la mia ignoranza, che assumeva la forma assai diafana di un'idea universale. Se tu vedi qualcosa da lontano, e non capisci cosa sia, ti accontenterai di definirlo come un corpo esteso. Quando ti si sarà avvicinato lo definirai allora come un animale, anche se non saprai ancora se sia un cavallo o un asino. E infine quando esso sarà più vicino potrai dire che è un cavallo, anche se non saprai ancora se Brunello o Favello. E solo quando sarai alla giusta distanza tu vedrai che è Brunello (ovvero quel cavallo e non un altro, comunque tu decida di chiamarlo). E quella sarà la conoscenza piena, l'intuizione del singolare.
Così io, un'ora fa, ero pronto ad attendermi tutti i cavalli, ma non per la vastità del mio intelletto, bensì per la pochezza della mia intuizione. E la fame del mio intelletto è stata saziata solo quando ho visto il cavallo singolo, che i monaci portavano per il morso. Solo allora ho veramente saputo che il mio ragionare di prima mi aveva condotto vicino alla verità. Così le idee che io usavo prima per figurarmi un cavallo che non avevo ancora visto, erano puri segni, come erano segni dell'idea di cavallo le impronte sulla neve: e si usano segni e segni di segni solo quando ci fanno difetto le cose."
[Umberto Eco, Il Nome della rosa, pag. 35]

Questo brano meraviglioso al principio del "Nome della rosa", quando Adso interroga il suo maestro su come egli abbia ragionato per intuire il passaggio del cavallo dell'Abate e le sue stesse caratteristiche, senza averlo visto prima, solo osservando poche tracce del suo passaggio, descrivono meglio di ogni altra cosa quello che è lo sviluppo ordinato di un pensiero che vuole arrivare a capire la realtà, rispettando il  particolare, i segni, i documenti e collegandoli fra loro e con altre conoscenze, in modo da ottenere di ciò che non si conosce per certo un'immagine. Persuasiva, coerente e rispettosa del vero. Quanto più possibile.

venerdì 28 settembre 2018

Un Ponte per Gaza, Trofarello

Volantino della Rassegna di cortometraggi
Per fortuna, mentre ci sono ponti che crollano altri inaspettatamente vengono costruiti, su un piano simbolico e di relazione, più fragile certamente ma non meno importante del piano fisico su cui viaggiano gli autocarri, le persone, le merci.

A Trofarello qualche mese fa si è creato un gruppo che ha deciso di chiamarsi: Comitato un Ponte per Gaza, Trofarello.  Colpiti da quanto accade quotidianamente nella Striscia di Gaza, da quanto è successo per settimane davanti al muro che separa i Palestinesi dagli Israeliani, dai manifestanti uccisi a decine durante le manifestazioni di protesta (le "Marce del Ritorno"), dalla condanna di Israele da parte dell'Onu, rimasta da questi inascoltata, dal'indifferenza generale a quanto accade, si sono chiesti cosa potessero fare in proposito, nel loro ambito e hanno fatto la scelta più intelligente: far conoscere, far vedere; rompere il silenzio, forzare l'indifferenza.

E'nata così la scelta di organizzare la Rassegna di Cortometraggi di Vita Quotidiana in Terra di Palestina che si terrà a Trofarello, presso il Centro Marzanati, il prossimo venerdì ,5 ottobre 2018, alle ore 21.

Il gruppo ha anche preso altre iniziative, avviato contatti, intecciato relazioni, di cui spero racconteranno loro stessi su questo blog. A me fra tutte ha colpito l'idea di prendere contatto direttamete con un ragazzo che abita nella striscia di Gaza, per cercare magari di aiutare inviando risorse o quabt'altro.

Una risorsa, sicuramente, per noi, è leggere la traduzione della lettera in cui il ragazzo descrive se stesso e il luogo in cui vive. La riporto qui di seguito, nella traduzione dall'inglese che ne ha fatto Paola Paniè, che ringrazio per avermela fatta leggere.

"Il mio nome è Khaled,  da Deir Al Balah [il nome è modificato per la sicurezza sua e della sua famiglia]. Questo è il nome della mia città, nel centro della Striscia di Gaza, in un' area di 58 kmq e una popolazione di circa 252.000 abitanti, a 90 km da Gerusalemme. La nostra città è famosa per le palme e si affaccia sul mare. Abbiamo un campo profughi vicino alla spiaggia chiamato Deir El Balah Camp (dove vi sono gli uffici dell'UNRWA ndt).
Vivo in un'area chiamata Hakr Al-Jamea, a sud est di Deir Al-Balah, vicino a Wadi Al-Salqa. Ha una popolazione di circa 45.000 abitanti ed ha un'alta densità abitativa. Le case sono poco sicure e molto vecchie. E' un'area molto povera abitata da operai, contadini, molti disoccupati e laureati con diverse specializzazioni che non hanno l'opportunità di vivere in dignità o di trovare un lavoro dopo la laurea. Più della metà della popolazione della regione è costituita da bambini. Se si entra in quest'area si trovano bambini che giocano a pallone nei vicoli, tra le case, in non più di due metri. Persone sedute fuori dalle case, per mancanza di spazio all'interno delle abitazioni o per il numero elevato dei componenti delle famiglie, dove la famiglia meno numerosa è composta da 8 persone e dove la maggior parte delle case è occupata da più di una famiglia. Molte persone vivono in case con muri e tetto fatti di lamiera o di fango, surriscaldate nel periodo estivo e gelide nel periodo invernale e ciò rende i bambini e gli anziani vulnerabili alle malattie e alla morte. Solo alcuni hanno l'abilità di costruire piccole case, ventilate, utilizzando materiali da costruzione migliori come le case di pietra. La maggior parte della popolazione dipende dall'economia domestica, nonostante la limitata dimensione delle loro case, non c'è famiglia che non allevi animali e pollame, e asini o cavalli, come fonte di sostentamento per andare a lavorare nei campi vicini.
Il fenomeno delle fornaci di argilla palestinesi è associato alla maggior parte delle case nelle quali troviamo spesso mucchi di legna da ardere di diverse forme così che le donne palestinesi possano preparare il loro cibo ... eccetto il caffè tradizionale che come è noto viene preparato dagli uomini.

La maggior parte della popolazione delle tribù e delle famiglie palestinesi sono emigrate da Beer Sheva dopo essere state cacciate dalle loro case e dalle loro terre durante la Nakba palestinese nel 1948.
Ci sono 4 scuole, inclusa la scuola UNRWA (l'agenzia dell'ONU fondata nel 1950 che sostiene 5,4 milioni di palestinesi sparsi nei Territori di Gaza, in Libano, in Siria e Giordania, attraverso scuole, ospedali e aiuti alimentari. ndt) che opera su due turni, al mattino e alla sera, e due scuole ai confini della regione. Sono scuole miste per le elementari e preparatorie per l'UNRWA, inoltre c'è una scuola superiore per ragazze ma non esiste una scuola superiore per ragazzi, che quindi devono spostarsi con i mezzi pubblici per raggiungerla. C'è anche una piccola clinica governativa nella zona del Ministero della Salute oppure si può usufruire dei servizi gratuiti forniti dalla clinica dell'UNRWA raggiungibile a piedi, in bicicletta, in auto, in kart, a circa 3 km dall'area. Se necessario ci si può recare nell'unico ospedale della città, l'Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa, anch'esso a circa 3 km di distanza.
Abbiamo avuto case distrutte o danneggiate dai bombardamenti durante gli assedi nella Striscia di Gaza (2008-2011-2014 ndr) e durante la Grande Marcia del Ritorno e durante bombardamenti messi in atto dall'esercito israeliano. Sentiamo il dolore dell'assedio. Lottiamo, senza riuscire a riprenderci dalla distruzione, conseguenza del continuo assedio, dei continui bombardamenti da parte Israele sulla Striscia di Gaza. Quando le bombe cadono, non sappiamo se colpiranno noi o un nostro vicino di casa. E la sera quando andiamo a dormire, non siamo sicuri se ci sveglieremo vivi o morti o feriti. I rumore dei droni o degli f16 sopra le nostre teste è causa di costante preoccupazione e paura. Molti i bambini soffrono di depressione. Alcuni non parlano. Il nostro quartiere ha subito molte perdite, ogni famiglia ha subito delle perdite, ogni famiglia ha un martire. Anche quando camminiamo insieme nella Marcia del Ritorno, rivendicando i nostri diritti, possiamo essere uccisi. Potresti essere un bambino che dorme come Bayan Abu Khamash, ucciso accanto alla sua mamma incinta o martire che marcia pacificamente come Karim Fatayer.
Non possiamo andarcene. Quando bombardano non c'è riparo, non c'è un luogo sicuro dove scappare, dove nascondersi. In questi momenti abbiamo scelto di stare ognuno nella propria stanza, in modo che qualcuno possa sopravvivere... ci confortiamo se sopravviviamo e ci struggiamo se qualcuno muore, insieme.
Tutte queste sono informazioni, sono pensieri ma non è tutto, avrei altro da raccontare ma la mia mente ha smesso di pensare e non posso più scrivere ..."


Augoro alla rassegna il miglior successo possibile e auspico che i protagonisti  dell'iniziativa intervengano direttamente qui su Piazzale Europa per raccontarci di di più e di meglio il loro lavoro.

giovedì 27 settembre 2018

Il Ponte, i ponti 2/2

2017, Tangenziale di Fossano
Nel post precedente (Il Ponte, i ponti 1/2), si è cercato di ragionare sulle motivazioni per cui si verificano disastri come quello del Ponte Morandi del 14/8/2018: "perché un ponte o un altra importante infrastruttura si degrada al punto da crollare senza preavviso (ammesso che questo sia vero e sia possibile) durante il suo utilizzo?

In tutti i casi internazionali esaminati, a partire da un articolo di Enrico Marro (pubblicato il 18/8//2018 per il Sole 24 Ore: "Ponti crollati. Le peggiori tragedie mondiali degli ultimi 10 anni"), emergono pesanti responsabilità delle istituzioni, che non ottemperano al loro mandato.
Bisogna guardare sempre, per comprendere questi disastri, alle normative e alle prassi che regolano la gestione del territorio, ai rapporti, contrattuali ma anche personali, che legano i funzionari delle istituzioni e i responsabili delle imprese o dei dipartimenti pubblici che si occupano di eseguire i lavori e questa analisi va fatta senza urgenze di consenso politico e senza ricorso a parole d'ordine e slogan.

E in Italia? In Italia, secondo due diversi articoli pubblicati da ANSA.it e  da Il Tempo, incrociando i dati relativi all'età e ai carichi sopportati, almeno 10.000, forse 12.000 ponti sono a rischio e necessitano di una revisione rapida e puntuale. Si tratta pressappoco di un quarto dei ponti italiani.


2013, Ponte sullo Sturla, presso Carasco (Ge)
Nell'ottobre 2013 la piena del torrente Sturla si portò via un pezzo del ponte di Carasco, nel genovese. Due le vittime. Il processo mandò assolti per insufficienza di prove quattro tecnici della Città Metropolitana di Genova. Nel 2017 un altro ponte autostradale cedette sulla A1, nei pressi di Ancona. L'inchiesta in questo caso è ancora aperta e coinvolge la Società Autostrade assieme alle ditte appaltatrici e a quelle subappaltatrici; sotto inchiesta ci sono complessivamente 37 persone.
Sempre nel 2017 cedette un ponte della tangenziale di Fossano, inaugurato nel 2000. Anche qui, sotto inchiesta il committente (ANAS), l'azienda appaltatrice e la subappaltatrice. I rilievi durati un anno hanno messo in chiaro che l’opera venne costruita male, tanto da crollare senza sollecitazioni eccezionali a poco più di vent’anni dalla realizzazione.

2000, Salassa (To), Statale 565, ponte sul fiume Orco
Ecco solo un altro paio di esempi  (quiqui) delle decine e decine di documenti che è possibile trovare in internet, dopo il 14 agosto 2018, a  proposito di ponti caduti in Italia; inutile compilarne qui un ulteriore lista.

Concentriamo invece ancora lo sguardo. In Piemonte la lista dei ponti crollati è lunga e ricca di episodi, per la maggioranza legati a precipitazioni ed ondate di piena dei fiumi: nel giugno 1957 forti piogge misero in ginocchio il Piemonte e specialmente le aree montane. A Bussoleno e Bardonecchia, in Val Susa, due ponti vennero travolti, mentre nei pressi di Pragelato in Val Chisone ne cadde un altro, costruito da poco. Molti ponti caddero anche nelle valli del cuneese, isolandole; ma nel 57 non furono solo i ponti a crollare: interi tratti di strade e massicciate di ferrovia, sia in Valle Susa che in Val d'Aosta, scomparvero portati via dal fango.
Venti anni dopo, nelle valli Chisone e Pellice, il 19 maggio 1977,  le forti piogge causarono il crollo o gravi lesioni ad almeno 20 ponti. In particolare il crollo del ponte sul Pellice fra Bibiana e Bricherasio portò con se la vita di sei automobilisti coinvolti nel disastro. In Val Formazza l'alluvione dell'agosto 1987 si portò via 5 ponti, lasciando isolato il comune di Formazza con le sue cinque frazioni per diversi giorni.
1994, Ponte sul Po, Chivasso (To)
E ancora, nel 1994, l'alluvione mandò sott'acqua  molte località del cuneese mentre, a Chivasso, il ponte sul Po addirittura cedette, franando completamente dentro il fiume.

Nel 2000 il maltempo gonfiò nuovamente i fiumi piemontesi causando, sempre nel canavese, il crollo di due ponti, a Salassa e Feletto e asportando quasi per intero la massicciata di sostegno del ponte di Rivarolo che era stata da poco ripristinata dopo i danni causati dal maltempo nel 1994.

E poi nel 2016, più recentemente, il Po si è portato via completamente il ponte a Sanfront, in località Mombracco.

2016, ponte sul Po, Sanfront (Cn)

Questo piccolo e parziale elenco di disastri "piemontesi", lungo sessanta anni, evidenzia che al di là dei problemi di progettazione, costruzione e manutenzione delle singole opere, al di là delle colpe e della negligenza dei singoli progettisti, impresari e funzionari coinvolti, la salute delle infrastrutture (e dunque quella dei cittadini che le utilizzano) coinvolge gli Enti Locali nel loro complesso e li inchioda alla scarsa qualità della gestione, nel tempo, del territorio loro affidato.
 
Una gestione che è fatta certamente dalla corretta progettazione e manutenzione delle opere, ma passa anche per l'attenzione costante agli eventi atmosferici e alla cura sia degli ambienti urbani che di quelli rurali e montani; che dipende dalle valutazioni fatte nel momento di concedere i preziosi permessi di far costruire opere e edifici che, spesso, coinvolgono l'interramento di corsi d'acqua e, mentre portano preziosi oneri di urbanizzazione nelle casse degli enti locali, sono pronti ad impoverirli nel momento in cui condizioni ambientali del tutto prevedibili tornano a causare disastri di grande portata.

Come si è evidenziato, il crollo del Ponte Morandi non è un fatto isolato e neanche peculiarmente italiano; stupisce semmai che fino ad oggi crolli e disastri ripetuti non abbiano scosso l'opinione pubblica e segnato più  di tanto la memoria, se non quella delle famiglie delle vittime. Certo, la grande visibilità e importanza del viadotto genovese giustifica in parte l'eco straordinaria suscitata  dall'evento.  Si tratta, purtroppo, dell'ultimo anello di una catena destinata ad allungarsi fino a quando non verrà negoziato in modo più severo il legame di delega e di fiducia fra chi usa e abita un territorio e chi lo amministra.

venerdì 21 settembre 2018

Info Data. Le notizie raccontate con i numeri

 Info Data è un bel servizio (loro lo chiamano "Data Blog") fornito dal Sole  24 Ore
Offre approfondimenti sulle tematiche più discusse della cronaca politica ed economica, chiarendo, mediante un ampio e puntuale utilizzo di ricerche e dati provenienti da fonti serie e autorevoli, cosa stia accadendo in effetti, al di là delle polemiche e della propaganda.
Il sottotitolo del blog del resto è molto chiaro: "Le notizie raccontate attraverso i numeri".

Questa la descrizione che ne danno i due responsabili Luca Tremolada e Andrea Gianotti:
"Il Data Blog del Sole 24 ORE nasce nel 2011 da una idea di Luca Tremolada e Andrea Gianotti come strumento per analizzare i fatti attraverso i numeri.
Tra gli autori giornalisti del Sole 24 Ore, statistici, matematici e amanti delle cifre. Partecipano anche gli studenti dei Master della Business School del Sole 24 Ore
."

Ad esempio, sul tema del razzismo e dell'intolleranza in Italia, Info Data ha pubblicato analisi molto interessanti.
Quella pubblicata il 16/9/18, dal titolo "Gli italiani sono davvero fra i popoli più intolleranti d'Europa?" riguarda l'atteggiamento degli italiani verso gli stranieri e le minoranze etniche, analizzato sia in confronto ad altri paesi europei e sia in confronto al passato, usando i dati relativi al periodo precedente la crisi (prima del 2007 diciamo) e prima delle importanti ondate migratorie iniziate con gli anni 90.
L'approccio è utile perché se da un lato, a "sinistra", c'è un forte allarme sulla diffusione e la crescita della xenofobia e di un razzismo anche violento in Italia, dall'altra parte, quella "governativa", si minimizza e sottovaluta spesso in modo colpevolmente cieco.
La risposta offerta dai dati è che in effetti si, gli italiani danno risposte di maggiore intolleranza e insofferenza nei confronti di stranieri e minoranze rispetto ad altri cittadini europei e in effetti ancora si, questo atteggiamento era già alto prima della crisi e anche prima delle grandi ondate migratorie iniziate negli anni 90'.
Quindi c'è una componente importante di etnocentrismo nella cultura italiana, che gli italiani non ammettono volentieri e che fino a qualche anno fa era anche coperta da uno stigma sociale forte. Tale per cui ancora oggi molti sentono il bisogno di esprimere il proprio sentimento negativo partendo con la frase: "io non sono razzista, ma...".
Anche se i successi elettorali e mediatici della Lega e della destra in generale stanno legittimando sempre di più l'espressione aperta del razzismo nel discorso pubblico.

martedì 18 settembre 2018

Il ponte, i ponti 1/2



14 agosto 2018, Ponte Morandi, Genova
È trascorso poco più di un mese dal crollo del ponte Morandi a Genova, un fatto drammatico, dal forte significato simbolico, denso di implicazioni politiche. Un esempio concreto del nesso che lega la vita dei luoghi e delle persone che li praticano alle vicende politiche e ai rapporti di potere che prendono forma nella gestione del territorio.

Lasciamo per il momento da parte due aspetti che stanno occupando il discorso pubblico e sono molto intrecciati fra loro: l'accertamento delle responsabilità, che sta facendo il suo tragitto e la sequenza di dichiarazioni pubbliche da parte di esponenti politici di governo e di opposizione, finalizzate soprattutto alla ricerca del consenso. Ci occuperemo di questi aspetti in un altro momento.

Quello che si intende fare qui, è ragionare sulle motivazioni per cui si verificano incidenti di questo genere: perché un ponte o un altra importante infrastruttura si degrada al punto da crollare senza preavviso (ammesso che questo sia vero e sia possibile) durante il suo utilizzo?

Si cercherà di fare questo ragionamento a partire da fatti concreti, aprendo la finestra e gettando uno sguardo oltre il cortile di casa: quanti e quali ponti sono caduti, in Italia e altrove negli anni passati? Quali ragioni sono emerse dalle relative inchieste? Cosa ci dicono queste informazioni che possa aiutarci a comprendere la crisi aperta dal crollo del ponte Morandi di Genova?
Cosa ci dicono queste informazioni sul rapporto che lega la politica,  la vita dei luoghi e delle persone?

Iniziamo il percorso partendo da due articoli pubblicati nelle scorse settimane dal Sole 24 Ore.

In uno, dal titolo "Non solo il Morandi: negli USA sono caduti 1062 ponti in 32 anni" (26/0/2018, di Rosalba Reggio), viene intervistato Marco Di Prisco, docente di Progetto di Strutture al Politecnico di Milano, il quale nell'intervista riferisce un dato interessante: gli USA hanno un patrimonio di 600.000 ponti, contro i 46.000 italiani; di questi, 1062 sono collassati negli ultimi 32 anni. Significa una media di 33 all'anno, ma anche uno 0,1% del patrimonio.


2018, ponte pedonale, Florida International University
L'altro articolo, precedente di una settimana: "Ponti crollati. Le peggiori tragedie mondiali degli ultimi 10 anni" (18/8/2018, di Enrico Marro, sempre per il Sole 24 Ore), elenca invece i casi più eclatanti di ponti crollati, a livello internazionale, nell'orizzonte degli ultimi dieci anni. Si tratta di uno dei numerosissimi articoli e post sull'argomento "ponti caduti" che in questo mese trascorso dalla tragedia di Genova sono comparsi e rimbalzati fra testate giornalistiche e siti internet, spesso copiandosi l'un l'altro.
Il primo caso è recente: il 15 marzo 2018 a Miami crolla un ponte pedonale inaugurato pochi giorni prima, che collega il campus universitario alla vicina zona residenziale; 6 vittime (un video qui.) L'inchiesta è in corso ma un pool di ingegneri contattati dal giornale locale Miami Herald parla apertamente di errore di progettazione.

Il 3 agosto 2016 è invece crollato un ponte sull'autostrada Mumbai-Goha, in India, costruito dagli inglesi quasi un secolo fa e che, sotto la pressione del fiume in piena si è schiantato all'improvviso nella notte, facendo precipitare decine di veicoli tra le rapide del fiume Savitri.
E poi ancora in India, a Calcutta, il 21 marzo 2016, in piena campagna elettorale per il rinnovo del parlamento del Bengala Occidentale,  crolla un ponte che era "in costruzione" da circa 7 anni, con cantiere sovrastante il via vai delle strade affollatissime: 27 morti. Interessante l'intreccio fra fede e polemica politica che anima la dichiarazione del Primo Ministro indiano a commento della tragedia: "Stanno dicendo che si tratta di un atto di dio ma si tratta di una truffa" [...] "E' un atto di dio nel senso che è capitato durante la campagna elettorale, in modo che molte persone possano vedere che tipo di governo lei [la Signora Banerjee, Primo Ministro del Bengala Occidentale in carica] ha condotto".

2016, Majerhat Bridge, Calcutta, Bengala Occcidentale
Il 4 settembre 2018 (pochi giorni fa dunque, ma questo non c'è nell'articolo di Marro), a Calcutta crolla un altro ponte, questa volta non in costruzione ma in esercizio da circa quaranta anni, causando un morto e 25 feriti. Nell articolo sul Guardian si legge fra l'altro, che: "la signora Mamata Banerjee, P,rimo Ministro del Bengala Occidentale, ha affermato che la sua priorità ora è portare sollievo e salvare le persone coinvolte, ma una serie di domande dovranno trovare rispostaa proposito della manutenzione del ponte,vecchio ormai di 40 anni".  Apprendiamo dunque, che nel 2016, contrariamente alle speranze del primo ministro indiano e nonostante il crollo del ponte durante la campagna elettorale, Mrs Banerjee ha nuovamente vinto le elezioni del Bengala Occidentale.
Da un altra fonte si legge che, dopo il disastro del 2016, il governo del Bengala Occidentale aveva dato ordine all'Ufficio Tecnico delle Ferrovie di controllare i ponti sul territorio, allo scopo di individuare le situazioni a rischio e segnalarle al Dpartimento dei Lavori Pubblici. Il rapporto venne infatti redatto, consegnato al Dipartimento e segnalava anche la situazione di pericolo relativa al ponte crollato il 4 settembre scorso. Da questa circostanza è scaturito l'arresto dell'Ingegnere capo del Dipartimento dei Lavori Pubblici del Bengala Occidentale, accusato di grave negligenza.

2012, Yangmingtan Bridge, Harmin, Cina settentrionale 



In Cina il 24 agosto 2012 è crollato uno dei ponti più lunghi della nazione, aperto al traffico da solo 9 mesi, lungo 15 km e costato circa 268 milioni di dollari, era considerato un capolavoro di ingegneria. Poi una rampa di accesso ha ceduto mentre transitavano quattro camion, uccidendo una persona. Secondo le autorità cinesi il disastro è accaduto a causa degli automezzi che portavano carichi troppo pesanti. Secondo un'inchiesta del New York Times, invece, qualche dubbio sui materiali utilizzati è da tenere in considerazione.

Ma l'elenco è lungo (ognuno può leggerlo nell'artiolo di Marro): cadono ponti vecchi, ponti nuovi e addirittura ponti ancora in cantiere o appena inaugurati; cadono ponti in Asia e in Europa; cadono in Cina come in America e, ovunque, la fatalità non c'entra nulla.  Esistono (lo sottolinea anche Di Prisco nell'intervista rilasciata a Rosalba Reggio) due tipi di disastri: quelli che riguardano i ponti nuovi, che crollano per errori di progettazione, oppure perché il costruttore non segue le indicazioni progettuali (vuoi nell'uso dei materiali, vuoi nella scelta di risparmiare su alcune procedure); e ci sono i disastri  che accadono ai ponti vecchi, che crollano invece per carenza di controlli e manutenzione, insomma per carenze gestionali.

In tutti i casi, ci sono delle pesanti responsabilità delle istituzioni che non ottemperano al loro mandato. Bisogna guardare dunque sempre alle normative e alle prassi che regolano la gestione del territorio, ai rapporti, contrattuali ma anche personali, che legano i funzionari delle istituzioni e i responsabili delle imprese o dei dipartimenti pubblici che si occupano di eseguire i lavori. E questa analisi va fatta,, sempre e ovunque, senza urgenze di consenso politico.

 Nel prossimo post (Il ponte, i ponti 2/2) proseguiremo il ragionamento concentrando l'attenzione su una serie di casi concreti avvenuti in Italia e in particolare nel territorio piemontese.