martedì 18 settembre 2018

Il ponte, i ponti 1/2



14 agosto 2018, Ponte Morandi, Genova
È trascorso poco più di un mese dal crollo del ponte Morandi a Genova, un fatto drammatico, dal forte significato simbolico, denso di implicazioni politiche. Un esempio concreto del nesso che lega la vita dei luoghi e delle persone che li praticano alle vicende politiche e ai rapporti di potere che prendono forma nella gestione del territorio.

Lasciamo per il momento da parte due aspetti che stanno occupando il discorso pubblico e sono molto intrecciati fra loro: l'accertamento delle responsabilità, che sta facendo il suo tragitto e la sequenza di dichiarazioni pubbliche da parte di esponenti politici di governo e di opposizione, finalizzate soprattutto alla ricerca del consenso. Ci occuperemo di questi aspetti in un altro momento.

Quello che si intende fare qui, è ragionare sulle motivazioni per cui si verificano incidenti di questo genere: perché un ponte o un altra importante infrastruttura si degrada al punto da crollare senza preavviso (ammesso che questo sia vero e sia possibile) durante il suo utilizzo?

Si cercherà di fare questo ragionamento a partire da fatti concreti, aprendo la finestra e gettando uno sguardo oltre il cortile di casa: quanti e quali ponti sono caduti, in Italia e altrove negli anni passati? Quali ragioni sono emerse dalle relative inchieste? Cosa ci dicono queste informazioni che possa aiutarci a comprendere la crisi aperta dal crollo del ponte Morandi di Genova?
Cosa ci dicono queste informazioni sul rapporto che lega la politica,  la vita dei luoghi e delle persone?

Iniziamo il percorso partendo da due articoli pubblicati nelle scorse settimane dal Sole 24 Ore.

In uno, dal titolo "Non solo il Morandi: negli USA sono caduti 1062 ponti in 32 anni" (26/0/2018, di Rosalba Reggio), viene intervistato Marco Di Prisco, docente di Progetto di Strutture al Politecnico di Milano, il quale nell'intervista riferisce un dato interessante: gli USA hanno un patrimonio di 600.000 ponti, contro i 46.000 italiani; di questi, 1062 sono collassati negli ultimi 32 anni. Significa una media di 33 all'anno, ma anche uno 0,1% del patrimonio.


2018, ponte pedonale, Florida International University
L'altro articolo, precedente di una settimana: "Ponti crollati. Le peggiori tragedie mondiali degli ultimi 10 anni" (18/8/2018, di Enrico Marro, sempre per il Sole 24 Ore), elenca invece i casi più eclatanti di ponti crollati, a livello internazionale, nell'orizzonte degli ultimi dieci anni. Si tratta di uno dei numerosissimi articoli e post sull'argomento "ponti caduti" che in questo mese trascorso dalla tragedia di Genova sono comparsi e rimbalzati fra testate giornalistiche e siti internet, spesso copiandosi l'un l'altro.
Il primo caso è recente: il 15 marzo 2018 a Miami crolla un ponte pedonale inaugurato pochi giorni prima, che collega il campus universitario alla vicina zona residenziale; 6 vittime (un video qui.) L'inchiesta è in corso ma un pool di ingegneri contattati dal giornale locale Miami Herald parla apertamente di errore di progettazione.

Il 3 agosto 2016 è invece crollato un ponte sull'autostrada Mumbai-Goha, in India, costruito dagli inglesi quasi un secolo fa e che, sotto la pressione del fiume in piena si è schiantato all'improvviso nella notte, facendo precipitare decine di veicoli tra le rapide del fiume Savitri.
E poi ancora in India, a Calcutta, il 21 marzo 2016, in piena campagna elettorale per il rinnovo del parlamento del Bengala Occidentale,  crolla un ponte che era "in costruzione" da circa 7 anni, con cantiere sovrastante il via vai delle strade affollatissime: 27 morti. Interessante l'intreccio fra fede e polemica politica che anima la dichiarazione del Primo Ministro indiano a commento della tragedia: "Stanno dicendo che si tratta di un atto di dio ma si tratta di una truffa" [...] "E' un atto di dio nel senso che è capitato durante la campagna elettorale, in modo che molte persone possano vedere che tipo di governo lei [la Signora Banerjee, Primo Ministro del Bengala Occidentale in carica] ha condotto".

2016, Majerhat Bridge, Calcutta, Bengala Occcidentale
Il 4 settembre 2018 (pochi giorni fa dunque, ma questo non c'è nell'articolo di Marro), a Calcutta crolla un altro ponte, questa volta non in costruzione ma in esercizio da circa quaranta anni, causando un morto e 25 feriti. Nell articolo sul Guardian si legge fra l'altro, che: "la signora Mamata Banerjee, P,rimo Ministro del Bengala Occidentale, ha affermato che la sua priorità ora è portare sollievo e salvare le persone coinvolte, ma una serie di domande dovranno trovare rispostaa proposito della manutenzione del ponte,vecchio ormai di 40 anni".  Apprendiamo dunque, che nel 2016, contrariamente alle speranze del primo ministro indiano e nonostante il crollo del ponte durante la campagna elettorale, Mrs Banerjee ha nuovamente vinto le elezioni del Bengala Occidentale.
Da un altra fonte si legge che, dopo il disastro del 2016, il governo del Bengala Occidentale aveva dato ordine all'Ufficio Tecnico delle Ferrovie di controllare i ponti sul territorio, allo scopo di individuare le situazioni a rischio e segnalarle al Dpartimento dei Lavori Pubblici. Il rapporto venne infatti redatto, consegnato al Dipartimento e segnalava anche la situazione di pericolo relativa al ponte crollato il 4 settembre scorso. Da questa circostanza è scaturito l'arresto dell'Ingegnere capo del Dipartimento dei Lavori Pubblici del Bengala Occidentale, accusato di grave negligenza.

2012, Yangmingtan Bridge, Harmin, Cina settentrionale 



In Cina il 24 agosto 2012 è crollato uno dei ponti più lunghi della nazione, aperto al traffico da solo 9 mesi, lungo 15 km e costato circa 268 milioni di dollari, era considerato un capolavoro di ingegneria. Poi una rampa di accesso ha ceduto mentre transitavano quattro camion, uccidendo una persona. Secondo le autorità cinesi il disastro è accaduto a causa degli automezzi che portavano carichi troppo pesanti. Secondo un'inchiesta del New York Times, invece, qualche dubbio sui materiali utilizzati è da tenere in considerazione.

Ma l'elenco è lungo (ognuno può leggerlo nell'artiolo di Marro): cadono ponti vecchi, ponti nuovi e addirittura ponti ancora in cantiere o appena inaugurati; cadono ponti in Asia e in Europa; cadono in Cina come in America e, ovunque, la fatalità non c'entra nulla.  Esistono (lo sottolinea anche Di Prisco nell'intervista rilasciata a Rosalba Reggio) due tipi di disastri: quelli che riguardano i ponti nuovi, che crollano per errori di progettazione, oppure perché il costruttore non segue le indicazioni progettuali (vuoi nell'uso dei materiali, vuoi nella scelta di risparmiare su alcune procedure); e ci sono i disastri  che accadono ai ponti vecchi, che crollano invece per carenza di controlli e manutenzione, insomma per carenze gestionali.

In tutti i casi, ci sono delle pesanti responsabilità delle istituzioni che non ottemperano al loro mandato. Bisogna guardare dunque sempre alle normative e alle prassi che regolano la gestione del territorio, ai rapporti, contrattuali ma anche personali, che legano i funzionari delle istituzioni e i responsabili delle imprese o dei dipartimenti pubblici che si occupano di eseguire i lavori. E questa analisi va fatta,, sempre e ovunque, senza urgenze di consenso politico.

 Nel prossimo post (Il ponte, i ponti 2/2) proseguiremo il ragionamento concentrando l'attenzione su una serie di casi concreti avvenuti in Italia e in particolare nel territorio piemontese.

1 commento:

  1. La drammaticità di quanto accaduto a Genova è dovuto all'enormità del prezzo di vite umane pagato, non paragonabile con altre situazioni. Prezzo così alto proprio perché non si trattava di "un ponte" ma del punto di collegamento principale tra l'Italia e la Francia. In un sistema di comunicazione complesso come quello italiano non avere chiara l'importanza di alcuni nodi è particolarmente grave, e le reazioni al crollo dimostrano che manca questa visione strategica del sistema di comunicazione italiano.

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