“Il lavoro è dignità” si legge su uno dei cartelli imbracciati
da una bambina palestinese del campo profughi di Burj al-Shemali ( nel sud del
Libano) durante una manifestazione contro la nuova legge sul lavoro.
Confinati in 12 campi profughi da più di
70anni e privati dei più basilari diritti sociali, civili e politici, i rifugiati
palestinesi in Libano continuano a farsi sentire. Raramente il governo libanese
da loro il permesso di manifestare al di fuori dei campi, ma dentro, da un mese a questa parte, le proteste proseguono quasi ogni giorno con un’affluenza che non si
vedeva da anni. L’indignazione li spinge a scendere in strada e bloccare i
rifornimenti che entrano nel campo per dimostrare quanto, nonostante si cerchi
in tutti i modi di emarginarli, siano parte integrante dell’economia libanese.
ed insegnamento.
Anche per quanto riguarda la sanità i problemi
non mancano.
I recenti tagli ai finanziamenti dell’UNRWA da parte degli USA
hanno causato una grave perdita che incide tanto sulle strutture, quanto sul
personale impiegato e sul trattamento riservato. Innumerevoli sono i casi di
famiglie che non hanno potuto permettersi operazioni o cure a causa del mancato
supporto finanziario. Altrettanti sono i casi di giovani, adulti ed anziani che
soffrono di malattie croniche che, nonostante il lavoro delle ONG attive nei
campi, non arrivano a ricevere il trattamento necessario.
Oggi però è il diritto al lavoro ciò che preme
di più. Oltre alle 32 professioni negate ai palestinesi, si sono ora aggiunte
ulteriori restrizioni al loro diritto all’impiego. Nell’ottica di tutelare la
classe lavorativa libanese e diminuire il tasso di disoccupazione, il Ministro
del Lavoro Camille Abu Sleiman ha applicato una normativa (presentata nel 2010)
che penalizza tutti i non-libanesi presenti sul territorio.
“Questa legge non discrimina i palestinesi ma
anzi, reca loro dei privilegi rispetto al resto degli stranieri presenti sul
territorio” - asserisce il Ministro Sleiman – alludendo alla gratuità del
permesso lavorativo ed alla diminuzione della somma (da 100milioni a 25milioni)
che un datore di lavoro palestinese deve pagare per avviare la propria
attività.
Considerando però gli innumerevoli rifiuti alle richieste di permesso (nel 2018
non ne è stata rilasciata nessuna -stando ai dati della Commissione libano-palestinese),
è facile comprendere come in realtà questa legge acuisca le difficoltà per i
palestinesi di ottenere un permesso persuadendo i datori libanesi dall’assumere
regolarmente lavoratori stranieri.
Inoltre, l’ottenimento di una licenza
lavorativa annulla lo status di ‘profugo palestinese’ precludendo definitivamente
il loro diritto al ritorno.
La nuova legge si colloca in linea con la politica di Trump per porre fine al conflitto israelo-palestinese attraverso l’Accordo del secolo. Creando un fondo per risollevare economicamente i palestinesi dentro e fuori dalla Palestina si cercherà di porre fine alle loro rivendicazioni nazionali. I profughi palestinesi in Libano, indeboliti e portati alla fame dalla mancanza di lavoro, assistenza sanitaria ed istruzione, perderanno poco a poco la determinazione a rivendicare il diritto di ritornare nella loro terra.
La nuova legge si colloca in linea con la politica di Trump per porre fine al conflitto israelo-palestinese attraverso l’Accordo del secolo. Creando un fondo per risollevare economicamente i palestinesi dentro e fuori dalla Palestina si cercherà di porre fine alle loro rivendicazioni nazionali. I profughi palestinesi in Libano, indeboliti e portati alla fame dalla mancanza di lavoro, assistenza sanitaria ed istruzione, perderanno poco a poco la determinazione a rivendicare il diritto di ritornare nella loro terra.
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