Dal 17
ottobre il Libano è soggetto ad un'ondata di proteste che hanno toccato il paese da nord a sud.
La decisione governativa di applicare
una tassa giornaliera di 20 centesimi di dollaro per l’utilizzo di whatsapp è stata la miccia che ha spinto migliaia di libanesi a riversarsi nelle piazze.
La pressione dei manifestanti in quel primo giorno è stata tale da far ritirare la misura dopo poche ore dall'emanazione.
La pressione dei manifestanti in quel primo giorno è stata tale da far ritirare la misura dopo poche ore dall'emanazione.
Come spiegare
allora l’insistenza e la consistenza delle richieste di chi oggi rischia di
perdere il lavoro per partecipare alle proteste? O dei giovani che si rifiutano
di tornare tra i banchi universitari e liceali? Come spiegare il coraggio di
quelli che a gran voce invocano i nomi dei propri politici accompagnandoli da aggettivi
come “criminali” e “corrotti”?
Fonte @jadsafi (instagram) |
Risale al 1916 la causa del malcontento della popolazione. In
quell’anno Francia e Gran Bretagna si spartirono, tramite gli Accordi di Skyes-Pykot, le regioni dell'Impero Ottomano in via di disintegrazione. La Francia “guadagnò” quei
territori che corrispondono oggi alla Siria ed al Libano e decise, sotto il dettame del dividi et impera, di disegnare a tavolino dei confini senza tener conto
delle differenze religiose e culturali proprie di quei luoghi.
In Libano, attraverso il Patto Nazionale del 1946, che definiva lo stato confessionale (la suddivisione delle cariche politiche in base alla percentuale della popolazione -appartenente a ciascuna confessione-), la Francia pose i cristiani maroniti in una netta posizione di supremazia e privilegio. Questa manovra diede inizio a quelle politiche discriminatorie alla base delle dei risentimenti e della netta separazione tra le diverse confessionalità - che nel paese sono 18- e che portarono a diversi scontri culminati con i quindici anni di guerra civile.
In Libano, attraverso il Patto Nazionale del 1946, che definiva lo stato confessionale (la suddivisione delle cariche politiche in base alla percentuale della popolazione -appartenente a ciascuna confessione-), la Francia pose i cristiani maroniti in una netta posizione di supremazia e privilegio. Questa manovra diede inizio a quelle politiche discriminatorie alla base delle dei risentimenti e della netta separazione tra le diverse confessionalità - che nel paese sono 18- e che portarono a diversi scontri culminati con i quindici anni di guerra civile.
Gli Accordi di Ta’if del 1989 che sancirono la fine della guerra e che rimisero in discussione e riequilibrarono la suddivisione dei poteri, non furono comunque abbastanza incisivi da diminuire la
separazione e la diffidenza tra le diverse comunità.
Il primo riavvicinamento si ebbe nel 2015, quando si riunirono
nelle piazze di Beirut migliaia di manifestanti, appartenenti a diverse confessionalità,
per denunciare l’incapacità del governo nella gestione e nello smaltimento dei
rifiuti. Fu anche la prima occasione in cui misero in discussione i propri
leader politici ma la misura e la maniera differiscono da oggi.
Ciò che caratterizza le manifestazioni libanesi cominciate
ad ottobre è innanzitutto la motivazione che spinge la gente a scendere in piazza:
il rigetto totale del confessionalismo politico, la volontà di trasformare
il Libano in uno stato civile con maggiore autonomia locale e che guardi ai
bisogni della sua popolazione attuando politiche che mirino a diminuire la disoccupazione
e rendere più accessibile l’educazione e l’assistenza sanitaria.
La totale sfiducia nella classe dirigente, rappresentata da
quelle stesse famiglie al potere da più di trent’anni, ha portato i
manifestanti a chiedere la deposizione di tutti gli esponenti governativi.
Il 29 ottobre, i manifestanti hanno raggiunto il primo traguardo con le dimissioni del Primo Ministro, Sa’ad Hariri, ma questo non basta.
‘Kullun ia’ni kullun’ – tutti significa tutti – ripetono in coro i dimostranti, a rafforzare la loro posizione irremovibile nei confronti di una classe politica che ha portato grandi ricchezze ad un numero limitato di persone. La tassa su whatsapp è stata l'ennesima manifestazione di questa politica ed una gran parte dei libanesi, e di altre nazionalità presenti sul territorio, vive sotto la soglia di povertà o in condizioni tali da costringere i più giovani a scegliere la via dell’emigrazione.
Il 29 ottobre, i manifestanti hanno raggiunto il primo traguardo con le dimissioni del Primo Ministro, Sa’ad Hariri, ma questo non basta.
‘Kullun ia’ni kullun’ – tutti significa tutti – ripetono in coro i dimostranti, a rafforzare la loro posizione irremovibile nei confronti di una classe politica che ha portato grandi ricchezze ad un numero limitato di persone. La tassa su whatsapp è stata l'ennesima manifestazione di questa politica ed una gran parte dei libanesi, e di altre nazionalità presenti sul territorio, vive sotto la soglia di povertà o in condizioni tali da costringere i più giovani a scegliere la via dell’emigrazione.
Un’altra peculiarità di questo movimento è il suo essere
presente non solo nella capitale, a Beirut (com’era stato nelle
manifestazioni precedenti), ma anche nelle
altre maggiori città: Tiro, Sidone e Tripoli.
Nei primi giorni si sono bloccate le strade e si è creata una catena umana che ha attraversato il paese da nord a sud. Successivamente si sono indetti scioperi generali e si sono chiuse le scuole ed impedita l’apertura delle banche.
Nei primi giorni si sono bloccate le strade e si è creata una catena umana che ha attraversato il paese da nord a sud. Successivamente si sono indetti scioperi generali e si sono chiuse le scuole ed impedita l’apertura delle banche.
Ovviamente il governo non ha tardato a farsi sentire e a
tentare di sopprimere in diversi modi queste rivolte.
I partiti sciiti di Amal ed Hezbollah hanno esercitato violenze contro i manifestanti utilizzando spranghe e manganelli ed intimidazioni verbali che han generato paura e sconforto.
Il Presidente cristiano maronita Michel Aoun ha organizzato delle manifestazioni parallele chiamando a raccolta i suoi sostenitori ed appoggiando con parole vuote le richieste dei manifestanti di attuare delle riforme.
I partiti sciiti di Amal ed Hezbollah hanno esercitato violenze contro i manifestanti utilizzando spranghe e manganelli ed intimidazioni verbali che han generato paura e sconforto.
Il Presidente cristiano maronita Michel Aoun ha organizzato delle manifestazioni parallele chiamando a raccolta i suoi sostenitori ed appoggiando con parole vuote le richieste dei manifestanti di attuare delle riforme.
Ma tutti significa tutti ed il popolo vuole la caduta
del regime. I manifestanti non intendono arrendersi alle intimidazioni del governo poichè il movimento è ormai radicato e radicale, per quanto non sia mai sfociato in atti violenti.
Si attende una risposta del governo che ha tre possibilità davanti: cedere alle pressioni dei manifestanti, assecondarli attuando riforme ma mantenendosi al potere o utilizzare il pugno di ferro per reprimere totalmente questa tarda primavera libanese.
Si attende una risposta del governo che ha tre possibilità davanti: cedere alle pressioni dei manifestanti, assecondarli attuando riforme ma mantenendosi al potere o utilizzare il pugno di ferro per reprimere totalmente questa tarda primavera libanese.