martedì 13 agosto 2019

Le proteste senza fine dei profughi palestinesi in Libano

 “Il lavoro è dignità” si legge su uno dei cartelli imbracciati da una bambina palestinese del campo profughi di Burj al-Shemali ( nel sud del Libano) durante una manifestazione contro la nuova legge sul lavoro.


Confinati in 12 campi profughi da più di 70anni e privati dei più basilari diritti sociali, civili e politici, i rifugiati palestinesi in Libano continuano a farsi sentire. Raramente il governo libanese da loro il permesso di manifestare al di fuori dei campi, ma dentro, da un mese a questa parte, le proteste proseguono quasi ogni giorno con un’affluenza che non si vedeva da anni. L’indignazione li spinge a scendere in strada e bloccare i rifornimenti che entrano nel campo per dimostrare quanto, nonostante si cerchi in tutti i modi di emarginarli, siano parte integrante dell’economia libanese.


Numerose sono state le rivendicazioni dei profughi palestinesi nel corso degli anni, a cominciare dal diritto all’educazione. Nelle scuole dell’UNRWA (organo ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi) sono in media 50 i bambini per classe, la storia ed i discorsi sulla Palestina sono stati banditi dai programmi scolastici ed è stata recentemente presentata una legge che impedirà loro di frequentare le scuole libanesi, pubbliche o private che siano. Questo porterà ad un ulteriore aumento di studenti per classe che avrà come conseguenza una diminuzione della facilità di apprendimento
ed insegnamento.


Anche per quanto riguarda la sanità i problemi non mancano. 
I recenti tagli ai finanziamenti dell’UNRWA da parte degli USA hanno causato una grave perdita che incide tanto sulle strutture, quanto sul personale impiegato e sul trattamento riservato. Innumerevoli sono i casi di famiglie che non hanno potuto permettersi operazioni o cure a causa del mancato supporto finanziario. Altrettanti sono i casi di giovani, adulti ed anziani che soffrono di malattie croniche che, nonostante il lavoro delle ONG attive nei campi, non arrivano a ricevere il trattamento necessario.


Oggi però è il diritto al lavoro ciò che preme di più. Oltre alle 32 professioni negate ai palestinesi, si sono ora aggiunte ulteriori restrizioni al loro diritto all’impiego. Nell’ottica di tutelare la classe lavorativa libanese e diminuire il tasso di disoccupazione, il Ministro del Lavoro Camille Abu Sleiman ha applicato una normativa (presentata nel 2010) che penalizza tutti i non-libanesi presenti sul territorio.


La legge impone sia il possesso di un permesso lavorativo per poter accedere ad un’occupazione, sia il pagamento da parte del datore di lavoro di una tassa di sicurezza sociale del 23.5% dello stipendio. Questa, per i profughi palestinesi, include solo la liquidazione, escludendo tutte le agevolazioni di cui beneficiano i lavoratori libanesi (assistenza sanitaria, pensione, maternità, infortuni..).



“Questa legge non discrimina i palestinesi ma anzi, reca loro dei privilegi rispetto al resto degli stranieri presenti sul territorio” - asserisce il Ministro Sleiman – alludendo alla gratuità del permesso lavorativo ed alla diminuzione della somma (da 100milioni a 25milioni) che un datore di lavoro palestinese deve pagare per avviare la propria attività. 
Considerando però gli innumerevoli rifiuti alle richieste di permesso (nel 2018 non ne è stata rilasciata nessuna -stando ai dati della Commissione libano-palestinese), è facile comprendere come in realtà questa legge acuisca le difficoltà per i palestinesi di ottenere un permesso persuadendo i datori libanesi dall’assumere regolarmente lavoratori stranieri.

Inoltre, l’ottenimento di una licenza lavorativa annulla lo status di ‘profugo palestinese’ precludendo definitivamente il loro diritto al ritorno.
La nuova legge si colloca in linea con la politica di Trump per porre fine al conflitto israelo-palestinese attraverso l’Accordo del secolo. Creando un fondo per risollevare economicamente i palestinesi dentro e fuori dalla Palestina si cercherà di porre fine alle loro rivendicazioni nazionali. I profughi palestinesi in Libano, indeboliti e portati alla fame dalla mancanza di lavoro, assistenza sanitaria ed istruzione, perderanno poco a poco la determinazione a rivendicare il diritto di ritornare nella loro terra.

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