2017, Tangenziale di Fossano |
In tutti i casi internazionali esaminati, a partire da un articolo di Enrico Marro (pubblicato il 18/8//2018 per il Sole 24 Ore: "Ponti crollati. Le peggiori tragedie mondiali degli ultimi 10 anni"), emergono pesanti responsabilità delle istituzioni, che non ottemperano al loro mandato.
Bisogna guardare sempre, per comprendere questi disastri, alle normative e alle prassi che regolano la gestione del territorio, ai rapporti, contrattuali ma anche personali, che legano i funzionari delle istituzioni e i responsabili delle imprese o dei dipartimenti pubblici che si occupano di eseguire i lavori e questa analisi va fatta senza urgenze di consenso politico e senza ricorso a parole d'ordine e slogan.
E in Italia? In Italia, secondo due diversi articoli pubblicati da ANSA.it e da Il Tempo, incrociando i dati relativi all'età e ai carichi sopportati, almeno 10.000, forse 12.000 ponti sono a rischio e necessitano di una revisione rapida e puntuale. Si tratta pressappoco di un quarto dei ponti italiani.
2013, Ponte sullo Sturla, presso Carasco (Ge) |
Sempre nel 2017 cedette un ponte della tangenziale di Fossano, inaugurato nel 2000. Anche qui, sotto inchiesta il committente (ANAS), l'azienda appaltatrice e la subappaltatrice. I rilievi durati un anno hanno messo in chiaro che l’opera venne costruita male, tanto da crollare senza sollecitazioni eccezionali a poco più di vent’anni dalla realizzazione.
2000, Salassa (To), Statale 565, ponte sul fiume Orco |
Ecco solo un altro paio di esempi (qui e qui) delle decine e decine di documenti che è possibile trovare in internet, dopo il 14 agosto 2018, a proposito di ponti caduti in Italia; inutile compilarne qui un ulteriore lista.
Concentriamo invece ancora lo sguardo. In Piemonte la lista dei ponti crollati è lunga e ricca di episodi, per la maggioranza legati a precipitazioni ed ondate di piena dei fiumi: nel giugno 1957 forti piogge misero in ginocchio il Piemonte e specialmente le aree montane. A Bussoleno e Bardonecchia, in Val Susa, due ponti vennero travolti, mentre nei pressi di Pragelato in Val Chisone ne cadde un altro, costruito da poco. Molti ponti caddero anche nelle valli del cuneese, isolandole; ma nel 57 non furono solo i ponti a crollare: interi tratti di strade e massicciate di ferrovia, sia in Valle Susa che in Val d'Aosta, scomparvero portati via dal fango.
Venti anni dopo, nelle valli Chisone e Pellice, il 19 maggio 1977, le forti piogge causarono il crollo o gravi lesioni ad almeno 20 ponti. In particolare il crollo del ponte sul Pellice fra Bibiana e Bricherasio portò con se la vita di sei automobilisti coinvolti nel disastro. In Val Formazza l'alluvione dell'agosto 1987 si portò via 5 ponti, lasciando isolato il comune di Formazza con le sue cinque frazioni per diversi giorni.
1994, Ponte sul Po, Chivasso (To) |
Nel 2000 il maltempo gonfiò nuovamente i fiumi piemontesi causando, sempre nel canavese, il crollo di due ponti, a Salassa e Feletto e asportando quasi per intero la massicciata di sostegno del ponte di Rivarolo che era stata da poco ripristinata dopo i danni causati dal maltempo nel 1994.
E poi nel 2016, più recentemente, il Po si è portato via completamente il ponte a Sanfront, in località Mombracco.
2016, ponte sul Po, Sanfront (Cn) |
Questo piccolo e parziale elenco di disastri "piemontesi", lungo sessanta anni, evidenzia che al di là dei problemi di progettazione, costruzione e manutenzione delle singole opere, al di là delle colpe e della negligenza dei singoli progettisti, impresari e funzionari coinvolti, la salute delle infrastrutture (e dunque quella dei cittadini che le utilizzano) coinvolge gli Enti Locali nel loro complesso e li inchioda alla scarsa qualità della gestione, nel tempo, del territorio loro affidato.
Una gestione che è fatta certamente dalla corretta progettazione e manutenzione delle opere, ma passa anche per l'attenzione costante agli eventi atmosferici e alla cura sia degli ambienti urbani che di quelli rurali e montani; che dipende dalle valutazioni fatte nel momento di concedere i preziosi permessi di far costruire opere e edifici che, spesso, coinvolgono l'interramento di corsi d'acqua e, mentre portano preziosi oneri di urbanizzazione nelle casse degli enti locali, sono pronti ad impoverirli nel momento in cui condizioni ambientali del tutto prevedibili tornano a causare disastri di grande portata.
Come si è evidenziato, il crollo del Ponte Morandi non è un fatto isolato e neanche peculiarmente italiano; stupisce semmai che fino ad oggi crolli e disastri ripetuti non abbiano scosso l'opinione pubblica e segnato più di tanto la memoria, se non quella delle famiglie delle vittime. Certo, la grande visibilità e importanza del viadotto genovese giustifica in parte l'eco straordinaria suscitata dall'evento. Si tratta, purtroppo, dell'ultimo anello di una catena destinata ad allungarsi fino a quando non verrà negoziato in modo più severo il legame di delega e di fiducia fra chi usa e abita un territorio e chi lo amministra.
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