Vincenzo Scarantino |
Imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, componenti del "pool" per le indagini sugli omicidi di Falcone e Borsellino, guidati da Arnaldo La Barbera (uomo legato al SISDE di Bruno Contrada,) accusati di calunnia aggravata dall'avere favorito la mafia.
Secondo l'accusa, avrebbero costruito a tavolino una falsa verità sull'attentato, costata la condanna a otto persone innocenti. Arnaldo la Barbera
I poliziotti, che facevano parte del pool di Arnaldo La Barbera incaricato di condurre le indagini sulla morte di Falcone e Borsellino, avrebbero costretto, anche con la violenza, personaggi come Vincenzo Scarantino, piccolo spacciatore senza legami con la mafia, ad autoaccusarsi della strage e a incolpare persone estranee all'attentato.
Il processo sul depistaggio si pone "in continuità" con la sentenza di Cassazione che l'anno scorso ha confermato sia le condanne per la strage di via D'Amelio, sia l'esistenza di un depistaggio iniziato negli istanti immediatamente successivi alla strage e proseguita per oltre due decenni.
Le vittime di Via D'Amelio, Palermo, 19/7/1992
Incredibilmente, però, le indagini e il processo riguardano solo gli ultimi anelli della catena, i poliziotti della squadra mobile di Palermo che hanno messo in essere il depistaggio.
Resta ancora nell'ombra chi l'ha organizzato e chi, da dentro le istituzioni, con atti e scelte precisi, lo ha reso possibile.
Quello sulla strage di via D'Amelio è stato definito il più grande, duraturo e vergognoso depistaggio della storia italiana.
La scena della strage. Un funzionario
porta via la borsa del magistrato
Trent'anni di strategia portata avanti congiuntamente da uomini delle istituzioni e della mafia, per impedire l'accertamento della verità e affermare per vera la versione falsa di una delle pagine più importanti e drammatiche della storia d'Italia
In questo quadro, una sorta di vittima sacrificale sembra essere stato Vincenzo Scarantino, un balordo di borgata, con piccoli precedenti per droga e nessun ruolo in Cosa Nostra che venne arrestato il 29 settembre 1992, meno di tre mesi dopo la strage di via d'Amelio.
Quindici giorni dopo il suo arresto una nota del SISDE (i servizi segreti allora guidati da Bruno Contrada) avvertiva la procura di Caltanissetta che si tratta di un pericoloso mafioso. Durante la permanenza in carcere Scarantino è oggetto di "pressioni" fisiche e psicologiche tali da fargli decidere di "collaborare" e accusare se stesso e varie persone innocenti della strage di via d'Amelio.
Ci sono voluti quatto processi e 30 anni per stabilire chi erano invece i veri artefici della strage (i Gravitano) e per stabilire che un lungo vergognoso depistaggio ad opera di settori della polizia e delle istituzioni si è protratto effettivamente fino ad oggi.
Anche se non se ne conoscono ancora i responsabili.
La sentenza di oggi purtroppo non risolve nulla. Assolve un accusato (Ribaudo) e fa cadere l'aggravante mafiosa per gli altri due. per i quali resta in piedi "solo" il reato di calunnia. Reato confermato dunque, ma prescritto. Tutti liberi. Resta solo una certezza: il più lungo depistaggio della storia d'Italia c'è stato effettivamente. Ma non ne conosciamo i colpevoli. L'Ulivo di Borsellino, Via D'Amelio, Palermo
E quelli che conosciamo sono morti o non sono più punibili.
Una documentazione accurata di tutta la storia procesuale la si può trovare qui (Centro Studi Sociali contro le Mafie. Progetto San Francesco)
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