martedì 12 luglio 2022

DEPISTAGGI

Vincenzo Scarantino
Oggi (12 luglio 2022) è stata pronunciata la sentenza di primo grado sul depistaggio nelle indagini relative alla strage di via 'D'amelio (quella in cui, nel 1992, vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.)

Imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, componenti del "pool" per le indagini sugli omicidi di Falcone e Borsellino, guidati da Arnaldo La Barbera (uomo legato al SISDE di Bruno Contrada,) accusati di calunnia aggravata dall'avere favorito la mafia

Arnaldo la Barbera
Secondo l'accusa, avrebbero costruito a tavolino una falsa verità sull'attentato, costata la condanna a otto persone innocenti.  

I poliziotti, che facevano parte del pool di Arnaldo La Barbera incaricato di condurre le indagini sulla morte di Falcone e Borsellino, avrebbero costretto, anche con la violenza, personaggi come Vincenzo Scarantino, piccolo spacciatore senza legami con la mafia, ad autoaccusarsi della strage e a incolpare persone estranee all'attentato.

Il processo sul depistaggio si pone "in continuità"  con la sentenza di Cassazione che l'anno scorso ha confermato sia le condanne per la strage di via D'Amelio, sia l'esistenza di un depistaggio iniziato negli istanti immediatamente successivi alla strage e proseguita  per oltre due decenni. 

Le vittime di Via D'Amelio, Palermo, 19/7/1992

Incredibilmente, però, le indagini e il processo riguardano solo gli ultimi anelli della catena, i poliziotti della squadra mobile di Palermo che hanno messo in essere il depistaggio. 

Resta ancora nell'ombra chi l'ha organizzato e chi, da dentro le istituzioni, con atti e scelte  precisi, lo ha reso possibile.

Quello sulla strage di via D'Amelio  è stato definito il più grande, duraturo e vergognoso depistaggio della storia italiana.

La scena della strage. Un funzionario
porta via la borsa del magistrato

Trent'anni di strategia  portata avanti congiuntamente da uomini delle istituzioni e della mafia, per impedire l'accertamento della verità
e affermare per vera la versione falsa di una delle pagine più importanti e drammatiche della storia d'Italia

In questo quadro, una sorta di vittima sacrificale sembra essere stato Vincenzo Scarantino, un balordo di borgata, con piccoli precedenti per droga e nessun ruolo in Cosa Nostra che venne arrestato il 29 settembre 1992, meno di tre mesi dopo la strage di via d'Amelio.

Quindici giorni dopo il suo arresto una nota del SISDE (i servizi segreti allora guidati da Bruno Contrada)  avvertiva la procura di Caltanissetta che si tratta di un pericoloso mafioso. Durante la permanenza in carcere Scarantino è oggetto di "pressioni" fisiche e psicologiche tali da fargli decidere di "collaborare" e accusare se stesso e varie persone innocenti della strage di via d'Amelio.

Ci sono voluti quatto processi e 30 anni per stabilire chi erano invece i veri artefici della strage (i Gravitano) e per stabilire che un lungo vergognoso depistaggio ad opera di settori della polizia e delle istituzioni si è protratto effettivamente fino ad oggi.

Anche se non se ne conoscono ancora i responsabili.

L'Ulivo di Borsellino, Via D'Amelio, Palermo
La sentenza di oggi purtroppo non risolve nulla. Assolve un accusato (Ribaudo) e fa cadere l'aggravante mafiosa per gli altri due. per i quali resta in piedi "solo" il reato di calunnia. Reato confermato dunque, ma prescritto. Tutti liberi. Resta solo una certezza: il più lungo depistaggio della storia d'Italia c'è stato effettivamente. Ma non ne conosciamo i colpevoli. 

E quelli che conosciamo sono morti o non sono più punibili. 

Una documentazione accurata di tutta la storia procesuale la si può trovare qui (Centro Studi Sociali contro le Mafie. Progetto San Francesco)

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