In
un mondo in cui, pare, ci siano più uomini disposti a costruire
muri piuttosto che ponti, abbiamo deciso di andare controcorrente e,
il 30 marzo del 2018 si è costituito il comitato: Un Ponte per Gaza,
comitato non violento nato per sostenere a distanza la lotta del
popolo palestinese per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza
attraverso l'informazione e non solo.
Crediamo profondamente che
pari diritti debbano essere riconosciuti a ebrei israeliani e arabi
palestinesi e ci opponiamo a qualsiasi forma di discriminazione,
razzismo, fascismo, antisemitismo, islamofobia. Data significativa
il 30 marzo perchè a 4000 km di distanza da noi, i palestinesi celebrano la
"Giornata Internazionale della Terra - Yom Al Ard" ricorrenza che
risale al 1976 quando migliaia di persone, cittadini palestinesi in
Israele, si riunirono per protestare contro l'espropriazione di altra
terra palestinese in Galilea.

Le manifestazioni non sono terminate il 15
maggio, continuano ancora oggi e le bandiere che avevamo messo sui
nostri balconi il 30 Marzo dello scorso anno sono ancora lì, per
ricordare che a 4000 km di distanza, i palestinesi attendono che i
loro diritti vengano riconosciuti. Ad oggi durante le manifestazioni
pacifiche più di 250 palestinesi sono stati uccisi, tra cui donne,
bambini, giornalisti e personale paramedico e circa 25000 sono i feriti,
alcuni dei quali resi invalidi permanenti a causa delle amputazioni
degli arti rese necessarie, a volte, a causa del blocco terra/mare/aria
imposto da Israele sulla Striscia di Gaza da 12 anni. Tale blocco, infatti,
impediva spesso ai feriti di recarsi in ospedali più attrezzati fuori dalla Striscia di Gaza o impediva l'ingresso di farmaci o
attrezzatura medica necessaria per rifornire gli ospedali
Ed
ecco i fatti concreti che siamo riusciti a realizzare grazie anche e
soprattutto alla collaborazione delle Istiutuzioni che in questo
particolare contesto hanno svolto un ruolo fondamentale:
Nel
mese di giugno dello scorso anno abbiamo presentato una proposta di
mozione per chiedere l'embargo militare nei confronti di Israele al
Comune di Torino. La proposta è stata accolta dalla congliera
Artesio di Torino in Comune e il 9 Luglio 2018 la mozione è stata
approvata.
Se
qualcuno si domanda perchè la richiesta di un embargo militare nei
confronti di Israele, rispondiamo che è nostro dovere come cittadini
invitare le Istituzioni ad applicare le leggi quando queste
vengono ignorate. La legge 185 del 1990 all'art 1. comma 6
cita: L'esportazione ed il transito di materiali di armamento
sono altresì vietati: [...]
d) verso i Paesi i cui governi sono
responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali
in materia di diritti dell'uomo. E Israele è responsabile di queste
violazioni come dichiarato nelle risoluzioni Onu. Anche Amnesty
International, nel giugno dello scorso anno, ha
rinnovato la sua richiesta ai governi affinché, dopo la
sproporzionata risposta alle manifestazioni nei pressi della barriera
che lo separa dalla Striscia di Gaza, fosse imposto un embargo
sulle armi dirette a Israele.
(https://www.amnesty.it/le-uccisioni-ferimenti-illegali-dei-manifestanti-gaza-necessario-embargo-sulle-armi-israele/).
Inoltre
nel 2014, durante l'operazione Margine Protettivo a Gaza, la Rete
per il disarmo, che raggruppa le principali organizzazioni italiane
impegnate sui temi del disarmo e del controllo degli armamenti,
chiese al governo italiano di sospendere immediatamente l'invio di
armi e sistemi militari a Israele e invitò a farsi promotore di
questa misura presso l'Unione Europea. Ricordiamo che nel 2014
l'Italia era il principale fornitore europeo di materiale militare
nei confronti di Israele.
Nel
mese di novembre abbiamo presentato una proposta di mozione che
chiedeva al nostro Sindaco di intervenire presso il Governo Italiano
affinchè si attivasse rapidamente per scongiurare la demolizione
definitiva, momentaneamente congelata dal governo di Netanyhau, Bibi,
della scuola di gomme costruita grazie alla Ong italiana Vento di
Terra e del villaggio dei beduini Jahalin di Khan Al Ahmar.
Ricordiamo che la comunità internazionale ha definito la distruzione
del villaggio e la deportazione della popolazione un "crimine diguerra".
La proposta di mozione è stata accolta dal Gruppo Consiliare del
nostro territorio "Proposta" ed è stata approvata a larga
maggioranza dal Consiglio Comunale il 29 Novembre 2018, data
importante ... perchè coincide con la "Giornata Mondiale di
Solidarietà al Popolo Palestinese" riconosciuta dall'Onu nel
1977 .... nulla capita mai per caso!
Abbiamo
organizzato presso il Centro Culturale Marzanati di Trofarello due eventi nel mese
di ottobre e novembre 2018 in collaborazione con Sami Hallac,
palestinese, che riguardavano una rassegna cinematografica di
cortometraggi di vita quotidiana in terra di Palestina ed in
particolare a Gerusalemme e a Gaza. I cortometraggi facevano parte
della rassegna AL ARD Film Festival di Cagliari.
Tra
dicembre e gennaio abbiamo distribuito alcune copie del libro "Gaza.Restiamo Umani" scritto da Vittorio Arrigoni, attivista italiano
per la pace, ucciso a Gaza il 15 Aprile del 2011. Libro scritto
durante l'operazione Piombo Fuso a Gaza tra il 27 dicembre 2008 e il
18 gennaio 2009, Vittorio era l'unico reporter italiano che potesse
descrivere ciò che stava accadendo in quei giorni ed inviava i suoi
articoli a "Il Manifesto".
(http://www.infopal.it/piombo-fuso-quattro-anni-fa-restiamo-umani/)
I
libri sono stati consegnati all'Istituto Vittone e al Liceo Monti di
Chieri, al liceo Majorana di Moncalieri, alla nostra biblioteca
intitolata a Lelio Basso, Padre Costituente, che tra i vari scritti
ne dedicò uno alla "Questione palestinese" (redatto
intorno agli anni 70 ma ancora molto attuale e che vi invitiamo a
leggere) e un'altra copia del libro è stata donata alla biblioteca
dell'Università Cà Foscari di Venezia.
Ogni
libro è accompagnato da una dedica speciale, scritta da Egidia
Beretta, mamma di Vittorio Arrigoni. Ricordiamo solo un breve passo
tratto dal libro alla fine del primo giorno di bombardamenti :
"Faranno
il deserto, e lo chiameranno pace. Il silenzio del “mondo civile”
è molto più assordante delle esplosioni che ricoprono la città
come un sudario di terrore e morte.Restiamo
umani."
Per
concludere, a fine anno abbiamo sostenuto a distanza con una modesta
campagna di crowfounding, alcune famiglie di Gaza, semplicemente
contribuendo all'acquisto di beni di prima necessità: cibo,
pannolini e latte in polvere.
Il
prossimo 22 Marzo inizierà il nostro percorso 2019 con un evento
organizzato al Marzanati dal titolo "La questione palestinese:
un caso di colonialismo e apartheid nel XXI secolo". Ne
parleremo con il prof. Norberto Julini, consigliere nazionale di Pax
Christi e coordinatore di Società Civile per la Palestina. Vi
porteremo in viaggio in Palestina proponendovi il tour
"Pellegrinaggio di Giustizia" per ricordare a tutti che in
quella terra bellissima ma martoriata potrebbero un giorno convivere
pacificamente ebrei, mussulmani, cristiani, israeliani e palestinesi.
Vi
invitiamo quindi a partecipare e provare a costruire insieme a noi
una riflessione, consapevoli del fatto che non possiamo più rimanere
in silenzio!
Di seguito, riportiamo dalla Pagina FB di Piazzale Europa, una serie di commenti all'articolo, nell'ordine in cui sono comparsi.
RispondiEliminaArianna Poma (giov 21/3/2019) Articolo interessante. Contiene solo una piccola inesattezza storica: i palestinesi non furono mai propriamente cacciati. Se ne andarono seguendo le indicazioni dei loro leader che temevano ritorsioni. Il premier israeliano David Ben Gurion chiese invece loro di tornare e provare a costruire insieme uno Stato pacifico. Purtroppo come sempre quando si tratta di questione israelo-palestinese é facile cadere in errori di questo genere data la quantità di notizie manipolate a fini politici e ideologici in circolazione.
RispondiEliminaPaola Paniè (giov 21/3/2019) Il problema, come dice lei, sta proprio nella manipolazione delle informazioni a fini politici e ideologici...
RispondiEliminaPersonalmente non credo nella buona fede di David Ben Gurion, in quanto il progetto sionista fin dall'inizio aveva come scopo il lento e inesorabile "sradicamento" del popolo palestinese da quelle terre
Con lo slogan “Una terra senza popolo, per un popolo senza terra” : si voleva far credere che la Palestina fosse una regione disabitata con abbondanza di terre ancora disponibili che l’assenza di uomini lasciava incolte... si voleva far credere che la forza dei coloni ebrei avrebbe dato sviluppo. In realtà in terra di Palestina le comunità vivevano insieme pacificamente in più di 400 villaggi che furono poi distrutti nel 1948. La pulizia etnica (Ilan Pappe, The Ethnic Cleansing of Palestine, Fayard, 2006) costrinse oltre 700.000 palestinesi a lasciare i propri villaggi per sfuggire ai massacri perpetrati dall’organizzazione paramilitare sionista dell’Haganah (fondata nel 1920) e dall’esercito israeliano nel 1948. Dove un tempo sorgevano villaggi palestinesi poi rasi al suolo, gli israeliani spesso piantavano alberi per far credere di aver ridato vita ad una terra deserta.
Theodore Herzl, il fondatore del sionismo, scriveva "cercheremo di far sparire dall'altra parte del confine la popolazione araba senza risorse, fornendone lavoro nei paesi di transito, negando loro qualsiasi lavoro nel nostro paese ... Il processo di espropriazione e l'espulsione dei poveri dovrà avvenire con discrezione e con circospezione..." (https://blogs.mediapart.fr/.../conflit-israelo...).... "con discrezione e con circospezione"!
La pulizia etnica della popolazione palestinese nel 1948 e successivamente il saccheggio israeliano di città, villaggi, case, terre, pozzi palestinesi è stato regolarizzato grazie al sistema giuridico israeliano: nel 1950-51 i legislatori israeliani avevano già approvato la “legge sui proprietari assenti”, ( https://www.tmcrew.org/.../progetti/campoibda/leggi.htm) una legge che impediva ai palestinesi di tornare nelle loro terre, città e villaggi e che permetteva ai nuovi israeliani di vivere nelle case e nelle terre dei palestinesi.... se David Ben Gurion avesse voluto creare uno stato pacifico non avrebbe imposto leggi che impedivano ai palestinesi di ritornare nelle loro case... ancora oggi dopo 70 anni, nonostante la risoluzione dell'ONU 194, i profughi non possono ritornare nelle loro case e nelle loro terre e tantomeno è concesso loro un risarcimento e tantomeno Israele rispetta le risoluzioni nonostante sia l'unico stato a doverle rispettare, anche quelle dell'Assemblea generale perchè ammesso con esplicita condizione da lui accettata, di attenersi alle risoluzioni..... ma l'occupazione illegale israeliana continua inesorabilmente con lo scopo di impedire la creazione di uno Stato Palestinese per mancanza di continuità territoriale!
https://blogs.mediapart.fr/fxavier/blog/091212/conflit-israelo-palestinien-mythes-et-realites
Arianna Poma (ven 22/3/2019) Quello che lei, io o chiunque altro può credere però non é una verità storica. Una verità storica é che i palestinesi non furono espulsi. Un' altra verità storica é che lo Stato Israeliano si é reso disponibile più volte a una spartizione del territorio che purtroppo non é stata accettata dai leader palestinesi. Mi permetto di aggiungere che la Storia non si studia o si divulga attraverso interpretazioni parziali ma con un' attenta ricostruzione dei fatti che nel suo commento sembra mancare, a cominciare da un disinvolto e aggiungerei anche irrispettoso utilizzo del termine pulizia etnica.
RispondiEliminaErica Castiglione (dom 24/3/2019) Mi permetto di farle presente che successivamente ad uno studio approfondito di coloro che si definiscono i 'nuovi storici' israeliani (Benny Morris e Avi Shlaim ed altri) posso confermare ciò che è stato scritto nell'articolo di Piazzale Europa.
RispondiEliminaSenza nessun personale commento o inclinazione pro o contro la causa palestinese o israeliana, l'apertura dagli anni '80 degli archivi dell'Haganah, dell'IDF e dei resoconti del Cabinetto Ebraico hanno fatto sì che tutte ciò che venne supposto circa la storia del primo conflitto "arabo-israeliano" venisse rivisitato.
La verità storica è che la fuga dei palestinesi dipese da varie ragioni:
1 arrivarono degli ordini dagli alti comandi del proto-esercito israeliano per procedere all'espulsione ed alla ripulita di numerosi villaggi a partire dall'aprile del '48 e negli anni successivi. Alcune espulsioni avvennero anche quando questi ordini non furono imposti ma furono i singoli generali incaricati di controllare una tal zona che decisero a piacimento se radere al suolo il/i villaggio/i con o senza la popolazione al suo interno, se espellere solamente la popolazione o se lasciare che i palestinesi fuggissero da soli.
2 da queste prime espulsioni e massacri (rif. Der Yassin ed altri) la paura che si generò spinse una parte di popolazione a lasciare i propri territori temendo le violenze che le bande armate israeliane stavano portando avanti. Da qua ricordo che nacque il simbolo della chiave a testimoniare la convinzione che per i palestinesi l'abbandono delle proprie case sarebbe stato solo temporaneo. Si veda invece la condizione dei profughi all'ora come oggi, mai modificata. E si tenga presente anche la legge del Giugno del 1948 (del cabinetto Ebraico) che VIETO' il ritorno dei profughi.
3 gli stessi stati arabi e la stessa leadership palestinese ebbero si anche loro un ruolo in questo esodo fallendo nel dare specifiche indicazioni alla popolazione con chiare direttive su dove andare e come "comportarsi".
Erica Castiglione (dom 24/3/2019) Per quanto riguarda le partizioni invece, mi trovo d'accordo nel dire che nel '48 la partizione venne approvata da parte israeliana che sicuramente trovò un certo guadagno nel passare dal non avere terra a possederne più della metà mentre da parte palestinese (senza contare la mancanza di una vera leadership e della possibilità di creare un proto-governo Palestinese - possibilità che a contrario venne data agli ebrei della Aliya ) venne 'naturalmente' rigettata in quanto il territorio in cui risiedevano da millenni (questa è storia) sarebbe finito sotto un governo in cui i propri rappresentanti si trovavano esclusi.
RispondiEliminaErica Castiglione Accenno anche al fatto che come dimostrato da documentazioni ritrovate negli archivi palestinesi (finiti sotto controllo israeliano ed anche questi riaperti solo di recente) i rapporti prima dell'arrivo del sionismo tra le diverse comunità ebraiche, cristiane e musulmane sunnite, sciite e druse erano buoni e ricchi di scambi e di condivisioni.
Il rigetto da parte palestinese tanto della partizione quanto dell'occupazione non deriva dunque da un rifiuto della componente ebraica sul proprio territorio ma anzi, da un'IMPOSIZIONE di governo e di autorità estranea alla propria ( furono gli ebrei ashkenaziti ad occupare le posizioni di governo, per lo meno nei primi anni) e successivamente dalla comprensione che il piano sionista, il quale ha permesso ed ha dato le basi al nuovo stato d'Israele, mirava alla creazione di uno STATO EBFRAICO, con una maggioranza ebraica. L'unico modo per ottenere tale caratteristica si sarebbe potuta avere in diversi modi :
1 tramite l'immigrazione ebraica (avvenuta ma non sufficiente a cambiare drasticamente le proporzioni demografiche)
2 attraverso la creazione di uno stato di apartheid in cui una minoranza avrebbe governato sotto una maggioranza assoggettata
3 la partizione che avrebbe permesso (anche se in minima parte) di rinunciare ad una parte della terra per possedere solo quella in cui in poco tempo si sarebbe potuti arrivare ad una maggioranza ebraica
4 la più "logica", il trasferimento: sbarazzarsi di una parte di popolazione araba (furono 750.000 i profughi, secondo fonti israeliane di archivio) e rimpiazzarla con immigrati ebrei europei ed orientali.
David Ben Gurion fin dal principio si rese conto dell'importanza dell'opinione pubblica e per questo motivo, come praticamente si può notare, le sue parole emerse nei discorsi pubblici (non tenendo in considerazione quelli dei Congressi sionisti) non andarono mai di pari passo con ciò che poi concretamente faceva o ordinava.
Lui, come i suoi successori, utilizzarono la retorica per nascondere le stesse intenzioni ed obiettivi propugnati dall'ideologia sionista e con gran ingegno (e forse per qualche altro motivo) riuscirono fin da subito ad accaparrarsi il sostegno di Stati Uniti, URSS, Gran Bretagna e, successivamente alla fine della seconda guerra mondiale ed a tutti crimini perpetuati nei confronti degli ebrei in Europa, anche di un gran numero di nazioni europee.
Ripeto, la legge che vietò il ritorno dei profughi risale agli anni della guerra. Mi sembra dunque naturale non fare affidamento tanto alla bella facciata che mostro il primo ministro quanto alle leggi promulgate (e ai discorsi scambiati con il Congresso Sionista, il Gabinetto Ebraico e l'Agenzia Ebraica, riportati negli archivi).
Piazzale Europa. Persone, luoghi, politiche. (dom 24/3/2019) Sembra opportuno, a questo punto, riportare questa discussione molto documentata sul blog, per farla eventualmente continuare lì.
RispondiEliminaArianna Poma (dom 24/3/2019): Buona idea. Forse però dovrei leggere i Protocolli dei Sette Savi di Sion per essere all' altezza di tale disquisizione.
RispondiEliminaPremetto che, a mio parere, il senso importante di qesto Post di Paola Paniè riguarda il presente e ciò che sta succedendo oggi. I fatti che l'ONU definisce "illegali" e "crimini di guerra", perpetrati dalle autorità e dall'esercito Israeliano a carico delle popolazioni civili palestinesi e che definire "apatheid" e "pulizia etinica" può suonare irrispettoso ma descrive efficacemente. Su questo si dovrebbe commentare e non sui fatti del 1948, come se la correttezza storica delle ricostruzione dei fatti del 1948 influenzasse la precisione della descrizione di quanto avviene oggi.
RispondiEliminaDetto ciò, questa discussione si sta facendo molto interessante ed è impossibile non cedere alla tentazione di prendervi parte.
La signora Poma risponde al post, su FB, segnalando una "inesattezza storica", ovvero che i Palestinesi non sarebbero stati cacciati dalle loro terre, mentre al contrario il presidente israeliano Ben Gurion li avrebbe inivitati a tornarvi per costruire assieme agli ebrei uno stato comune e pacifico. In conclusione, lamenta come sia: "facile cadere in errori di questo genere data la quantità di notizie manipolate a fini politici e ideologici in circolazione".
Alla risposta dell'autrice del post, Paola Panie, la sigora Poma oppone ulteriormente che, al di là delle opinioni personali,"Una verità storica é che i palestinesi non furono espulsi. Un' altra verità storica é che lo Stato Israeliano si é reso disponibile più volte a una spartizione del territorio che purtroppo non é stata accettata dai leader palestinesi. Mi permetto di aggiungere che la Storia non si studia o si divulga attraverso interpretazioni parziali ma con un' attenta ricostruzione dei fatti"
A questo punto interviene una nuova interlocutrice, Erica Castiglione, che entra nel merito delle sue osservazioni e proprio sul terreno dell'accuratezza della documentazione storica da lei reclamata, richiama il lavoro fatto da una serie di storici israeliani (non palestinesi), a partire dagli anni '80 (non l'altro ieri) su archivi in precedenza non disponibili alla consultazione. Anche su archivi Palestinesi, finiti sotto il controllo delle autorità Israeliane (perchè nela storia sono semre i vincitori che ci lasciano la maggiorparte della documentazione. I perdenti in genere sono muti o zittiti, il che significa che poi perdono a lungo anche nella ricostruzione storica).
Da questo piano, squisitamente storiografico, che non sembra darle ragione, la sigrora Poma si ritrae e nel commento successivo fa ricorso all'arma dell'ironia, richiamando il fantasma del "Protocollo dei Savi di Sion".
RispondiEliminaE' proprio su questo punto che mi interessa intervenire. Tutti sanno che si tratta di un falso storico https://www.ilpost.it/2019/01/22/protocolli-savi-sion/ il più famoso dei testi prodotti nell'ambito dell'antisemitismo europeo per accreditare la persecuzione contro gli ebrei. Quindi, ironizzare citando i Protocolli, dopo avere ricevuto quel che si era chiesto (accuratezza e documentazione storiografica), riporta ad un bivio della discussione sulla questione israelo-palestinese, che pare difficile da superare: la tentazione dei sostenitori di parte israeliana, di derubricare ogni opinione o affermazione che mette in discussione le politiche presenti e passate dello Stato di Israele come un fatto di "antisemitismo". Come se criticare la politica del governo italiano oggi o quella (ad esempio) del 4° Governo Andreotti costituissero analoghi casi di "anti-italianità".
In realtà il rapporto fra verità e falsità, fra riscostruzione storica e propoganda, nelle situazioni di conflitto è molto più articolato e sfumato e, fra l'altro, fa parte di un dibattito rilevante anche fra gli stesso storici.
Uno dei più grandi storici del secolo scorso, forse il maggiore in assoluto, Marc Bloch (un medievista) pubblicò in proposito un libro molto interessante che riprendeva la propria esperienza di soldato al fronte durante la Prima Guerra Mondiale, il libro èstato tradotto in italiano col titolo: "La Guerra e le False Notizie" (2004, ed orig. 1921).
Mi spiace non essere stata compresa ma non mi stupisco. Mai mi permetterei di criticare chi critica la politica di un Paese. La mia critica era invece rivolta alla presunta preparazione delle persone intervenute, malgrado le evidenti inesattezze storiche citate ,una sola delle quali mi sono permessa di evidenziare. Ritengo inutile spiegare quali siano le altre sia perché fomenterebbero un conflitto ideologico che in quanto pacifista non ho alcuna intenzione di esacerbare neppure in una discussione tra europei estranei al conflitto, sia in quanto alcuni degli interlocutori non mi sono parsi disponibili a mettere in discussione nessuna delle loro convinzioni.
EliminaSe da un lato è normale che due parti opposte in conflitto abbiano narrazioni contrastanti riguardo ai medesimi fatti e se possiamo facilmente prevedere che anche sul piano degli atti formali, dei documenti, le autorità opposte in un conflitto conducano una guerra sul piano della legittimità e delle versioni contrastanti dei fatti (lo vediamo ogni volta in cui bisogna accertare la verità in merito ad un attacco lanciato dall'una o dall'altra parte), sarebbe ingenuo pensare che in tali situazioni la verità stia da una sola parte.
RispondiEliminaGli storici sanno che le narrazioni sono tutte vere "proprio perchè" sono tutte false. Che è proprio il lavoro di critica delle fonti, il capire chi ha detto o scritto qualcosa, perchè, in quale contesto e con quali intenzioni, che fa emergere la relazione fra quel documento e l'insieme della questione. Permettendo allo storico di "spremerne" delle informazioni.
Marc Bloch andava ancora oltre. E ci spiegava che quando si diffondono delle notizie false, proprio questo diffondersi ci dice molto sulle persone e sugli ambienti in cui si diffondono. Ecco perchè, partendo dalla credenza medievale (documentata in molte fonti) che i primi re francesi avessero la capacità di curare malattie come la lebbra col tocco delle loro mani (credenza falsa), Bloch ha potuto scrivere uno dei più importanti contributi storiografici sulla società medievale francese: "I Re Taumaturghi".
Ecco perchè forse un giorno riusciremo a capire qualcosa in più sul conflitto israelo.palestinese, quando un nuovo Marc Bloch saprà daresenso sociale, culturale e politico a questa tendenza ad identificare l'antisionismo con l'antisemitismo.
Ci sono poi altre cose da dire sul contesto sociale e culturale delle popolazioni palestinesi ed ebraiche alla vigilia del 1948. Ma lo farò, magari, in un prossimo commento